Antonio Mattozzi, Una storia napoletana
Pizzerie e pizzaioli tra Sette e Ottocento - Slow Food Editore
Euro 14,50.

Collocati nel gradino più basso della più plebea e splendida delle città ottocentesche dell´Europa del tempo, i Pizzaiuoli napoletani, sono stati, fin dalle prime battute della loro storia, una classe ristretta e specializzata di lavoratori. Né bettolieri, né cantinieri, né fornai, né maccaronari, né carnacottari, ma espressione di un´arte che si è sviluppata a partire della fine del XVIII secolo per arrivare ai giorni nostri. Nel mezzo, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, la diffusione del prodotto tra gli strati borghesi e abbienti della popolazione napoletana e, poi, in tutto il Mondo.

Con quelle professioni, dalle quali si distingueva per peculiarità tutte legate alla necessità di locali adeguati e ben ubicati, condivideva le condizioni di vita e sociali: semplicissime. Uno status che ne faceva un gruppo che, pur non essendosi mai organizzato in corporazione di mestieri, viveva, in un clima di forte solidarietà.
Cibo del popolino e delle classi più umili, la pizza nasce a Napoli dando da vivere a un buon numero di ambulanti e a circa un centinaio di pizzerie, botteghe cioè, in tutta la città e per lo più concentrate intorno alla grande arteria metropolitana del tempo: via Toledo. Questi e altri fatti, qui e là intervallati da dettagli curiosi, nel libro di Antonio Mattozzi edito da Slow Food e presentato nei giorni scorsi alla Biblioteca Nazionale.

Mattozzi, professore di materie letterarie e non nuovo alla ricerca storica a livello accademico, racconta di aver avuto l´idea del libro per celebrare la sua famiglia: una dinastia di napoletani che da 160 anni fa pizza a Napoli con cinque locali strategicamente e storicamente incastonati nel tessuto urbano della città. Il progetto originario, poi, nel corso del lavoro di ricostruzione storica, è cresciuto di fronte all´incredibile numero di inesattezze e invenzioni di certa letteratura folcloristica, facile alle pennellate di colore.

Nel libro, l´autore prende in esame i documenti più disparati: licenze, istanze, atti dello stato civile, ecc. Si stenta, a volte, nel leggere il libro a seguire il filo delle parentele e dei cambi di indirizzo dei locali destinati a pizzeria tra Sette e Ottocento, che è l´arco che lo scrittore prende in esame. L´effetto è quello di perdersi nei vicoli delle righe e di essere fagocitati da una folla di nomi e riferimenti geografici tra i quali è difficile orientarsi. Anche questo tratto caratteristico del testo, più che esserne un limite, contribuisce empiricamente a rendere l´atmosfera reale della Napoli che vide la nascita della pizza. In questa città, afferma l´autore, e non altrove, per la sua incredibile densità di popolazione, costituita, in gran maggioranza, da una plebaglia che non arrivava, ricorda Mattozzi con Matilde Serao, a mettere insieme 3 soldi. Pochi erano quelli che potevano acquistarne una intera, per lo più i morsi della fame venivano soffocati da semplici fette vendute dai garzoni riforniti sino a notte dal Pizzaiuolo.

La storia della pizza, nata nei decenni intorno al 1750, in pratica, con l´uso del pomodoro in cucina, iniziato solo alla fine dei Seicento, si intreccia con quello della città. Di quest´ultima condivide gioie e dolori: i sommovimenti della rivoluzione partenopea del 1799, le ondate periodiche di colera, il Regno Borbonico, l´Unità d´Italia e il Risanamento che cambiò volto alla città e che determinò la fine di molti esercizi. Tutto questo descrive l´autore. Molti gli aneddoti storici e altrettanti le leggende sfatate. Tra le altre, quella che la famosa pizza pomodoro, mozzarella e basilico, oggi nota come Margherita, sia nata solo nel 1889 ad opera di Raffaele Esposito, sposo di Maria Giovanna Brandi. A lui, invece, da imprenditore illuminato e con il senso del marketing, il merito di aver averle dato il nome e di averla offerta alla Regina D´Italia. Insomma, per essere un libro nato dalla penna di un Mattozzi per raccontare la storia di quella che è stata definita una vera e propria dinastia di pizzaioli iniziata nel 1852 con l´avo Emiddio, l´autore, bisogna rendergliene merito, finisce che dedicarle poco più di 14 pagine sulle oltre 200, trattando con uguale precisione e perizia tutte le vicende delle famiglie storiche di Pizzaiuoli della città. Il risultato è un volume che, per la prima in assoluto, ricostruisce, senza fronzoli, uso di luoghi comuni e note di colore, la storia della pizza di Napoli, così andando a inserirsi di diritto tra le fonti più attendibili e precise di informazione sull´argomento per gli anni a venire.

Luciano Pignataro Wine Blog
Monica Piscitelli
giovedì 29 ottobre 2009

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