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Primiceri dichiara: non vogliamo un altro balzello sulla pizza,una nuova tassa per le pizzerie

Chi scrive è Antonio Primiceri, Presidente dell'Associazione Pizzaioli e Similari (APES), la prima associazione di categoria in Italia dedicata al settore, fondata con atto notarile il 26 gennaio 1981 a Giardini Naxos (Sicilia) innanzi al notaio Dr. Giuseppe Bonanno di Taormina.
Precisiamo che l'Associazione Pizzaioli e Similari (APES) ha come fine statutario sin dalla fondazione nel 1981 la promozione, diffusione e formazione del settore ristorazione pizzeria e per la formazione è certificata ISO UNI EN 9001:2000, ed è in fase di certificazione anche per la comunicazione e informazione.
Personalmente, in qualità di Presidente, in nome e per conto dei nostri associati, visionato il contenuto del disciplinare presentato per la certificazione di Specialità Tradizionale Garantita (STG) della pizza napoletana, mi oppongo alla stessa per i motivi seguenti:
1.a prescindere che la pizza è anarchica e apolide, in tutto il mondo si chiama pizza, nome introdotto in tutti i paesi, di cui non si conoscono le origini, figlia del pane (oppure si può insinuare nata prima del pane, considerato che i primi pani avevano, e ancora hanno per tradizione, come il pane arabo, la forma schiacciata bassa e rotonda cotta su pietre roventi prima, e sul letto del forno poi).
Di questo passo potremmo aspettarci anche la richiesta di registrazione dell´espresso napoletano, pur non producendo Napoli un chicco di caffè.
2.dalla base di pasta di pane, tutte le regioni italiane, non solo a Napoli, hanno per tradizione una loro specialità artigianale, alcune di queste da molto tempo inserite nell´elenco PAT (Prodotti Artigianali Tradizionali);
3.la pizza, insieme a maccheroni e spaghetti, a Napoli era comunque il cibo dei poveri: sul disco di pasta ci mettevano di volta in volta quanto avanzava dei formaggi, del pescato, anche solo olio e aglio, era un cibo che serviva a placare la fame proprio perché risultava di difficile digeribilità.
4.parlando sempre di Napoli, queste pizze, di cui si producevano versioni anche fritte in padella, si vendevano per le strade sulle bancarelle di ambulanti che le vendevano a pezzi.
5.la pizzeria di cui si parla nel disciplinare è una appropriazione del termine moderno, in realtà si trattava di botteghe-spaghetterie che introdussero la pizza perché più comoda da mangiarsi con le mani, senza costi aggiuntivi di piatti e posate a far salire il costo. E il forno a legna era l'attrezzatura più importante per la cottura in queste botteghe, ma non solo a Napoli. I termini moderni di pubblici esercizi come pizzeria, panetteria, pasticceria, gelateria, caffè, ecc. derivano strettamente da quanto nel locale viene preparato prioritariamente, in funzione del rilascio delle licenze, ma non è sinonimo di prodotto unico.
6.non è corretto asserire, in tal senso non abbiamo evidenza, e molto piacerebbe poterlo riscontrare, che si parli nei testi letterari del '700/'800 specificatamente di pizza napoletana. Di fatto si parla genericamente di pizza come prodotto preparato con farinacei, salati o dolci che fossero, sicuramente sino verso la fine del XIX secolo. Basti ricordare lo scrittore e gastronomo Pellegrino Artusi, autore de "L´arte la scienza in cucina e l´arte del mangiar bene" edizione 1891 (due anni dopo la famosa storia della Regina Margherita) per il quale la pizza napoletana era ancora un dolce, presumibilmente la pastiera napoletana, i cui ingredienti erano ricotta, mandorle dolci, zucchero, farina, uova, scorza di limone e latte.
7.altra osservazione: secondo alcuni editori, Vincenzo Corrado, citato nell´art. 4 del Disciplinare, non parla di pizza nella sua pubblicazione.
8.passando ad una storia più recente: trent'anni fa la pizza napoletana a livello nazionale non era considerata, era piuttosto sottostimata dalla grande ristorazione italiana, come dalla stessa ristorazione napoletana, peraltro. I napoletani non davano a questo prodotto una particolare importanza nell´ambito turistico, gastronomico e promozionale della città, e di fatto pizzaioli napoletani veraci in giro per l'Italia ce ne sono ben pochi, per lo più sono tramontini, salernitani, originari della Campania in genere, comunque originari del sud Italia. Ed è a questi che dobbiamo la grande manovalanza che ha varcato i confini italiani.
9.per questo si può asserire che lo sviluppo delle pizzerie in Italia, soprattutto nel Nord, non sono dovute al contributo dei maestri pizzaioli napoletani. Dagli anni settanta la pizza napoletana non è gradita, non incontra il gusto dei consumatori: è considerata pesante, di difficile digestione, troppo cornicione e poco piacevole quella tanto declamata morbidezza. Il mercato richiede una pizza più leggera, digeribile, con poco cornicione e più croccante.
Se la STG viene richiesta per prodotti che abbiano almeno 25 anni, contestiamo le procedure di produzione inserite nel Disciplinare depositato, perché frutto di ricerche della nostra Associazione con i Mulini, risalenti a metà degli anni '80. attualmente in commercio esistono farine di grani teneri nazionali miscelati con grani teneri internazionali. I cui fenomeni di lievitazione non sono particolarmente conosciuti dai tradizionali pizzaioli napoletani e non rispecchiano le procedure di preparazione in essere tra gli stessi.
L'APES, nata nel 1981, attraverso i suoi associati delegati e consiglieri, ricerche e commissioni, con il supporto e la collaborazione di industrie alimentari del settore, in primo luogo i molini, è giunta nel 1984 alla definizione delle prime regole e del linguaggio utile alle scuole di formazione per pizzaioli, e molti corsi sono stati dall´APES realizzati anche con Fondi Sociali Europei. Per queste scuole è stato scritto ed editato dall'APES sempre nel 1984 il primo libro didattico sulla preparazione e somministrazione della pizza.
Un processo che ha allontanato sempre di più lo sviluppo della pizza dal suo legame con Napoli.
Alcuni esponenti napoletani, fra i quali Antonio Pace, aderirono in un primo tempo all'APES, sicuramente con l'intento di mantenere vivo il contributo partenopeo, e in parallelo, prima che venisse realizzato dall´APES nel luglio del 1984 nella città di Napoli il 3° Congresso dei pizzaioli, provvide a fondare l'Associazione Verace Pizza Napoletana con il suo disciplinare.
Quell'anno a Napoli, nel 1984, durante il congresso e concorso realizzato dall´APES, sulla terrazza di Castel dell´Ovo, con giuria napoletana, vinse una pizza dolce alla frutta realizzata da un pizzaiolo milanese di origini pugliesi, Rino Francavilla. E in giuria avevamo nientemeno che il presidente dell'Associazione Verace Pizza Napoletana, Vincenzo Pace, padre di Antonio Pace. Questo su uno "svarione" che i napoletani non si perdonarono.
Pace poi prese la sua strada perché bene intese che la politica dell´APES era la difesa della pizza italiana, fatta con forni elettrici, a gas, a legna, consentiva l'utilizzo della catena del freddo, permetteva la manipolazione anche a fini di intrattenimento, ecc. mentre Pace si indirizzava a un aspetto anacronistico del lavoro del pizzaiolo, non accettandone l'evoluzione che comunque finì con il coinvolgere gli stessi napoletani (divenuti sfegatati appassionati di pizza acrobatica, per esempio, e utilizzando anche a Napoli i forni elettrici).
L'APES, pur non invitata al tavolo della Commissione, come tuttora sta accadendo, è riuscita durante la fase di certificazione della normativa UNI 10791 a Milano, a dare il suo contributo intervenendo su alcuni errori d'impostazione in merito al disciplinare proposto dalla Verace Pizza Napoletana per la pizza "margherita" e "marinara".
Il contributo dell´APES è stato soprattutto sul punto 5 del "Processo di Produzione" dove si erano evidenziate delle imprecisioni: per esempio l'utilizzo in tempi diversi del sale e del lievito; l'assorbimento dell´acqua da parte della farina; la velocità delle impastatrici; la temperatura del forno che non deve superare i 450°C.
L'APES, mio tramite, precisa di non essere stata fatta partecipe del disciplinare relativo alla Pizza Napoletana STG, di non essere stata informata direttamente, e di non essere d'accordo su alcuni punti dello stesso disciplinare, che riprende sicuramente normative e leggi comunitarie, ma non rispecchia l'effettiva disponibilità e logica operativa del professionista pizzaiolo, napoletano e non.
Per maggior chiarezza riportiamo evidenza di alcuni punti:
* Nessuno usa l'olio extra vergine di oliva sulla pizza prima della cottura: è uno spreco e sminuisce la bontà dell'olio stesso. Eventualmente si usa dopo la cottura per aggiungere gusto al prodotto in degustazione.
* È impossibile reggere continuativamente, e costantemente, la temperatura di 485°C durante le fasi di cottura. Ci vorrebbe un persona al forno adibita solo a questo.
* La mozzarella di bufala DOP e la mozzarella STG per pizzeria non esistono, e i pizzaioli non l'utilizzano: sono prodotti di alto pregio che vanno gustati a crudo e non cotti. Il loro maggior costo graverebbe troppo sul costo finale, i pizzaioli lo sanno benissimo.
* Il formaggio grattugiato (pecorino romano, reggiano e grana padano) è una aggiunta che quasi nessuno attua, che ben poco ha a che fare con l'uso napoletano (non sono nemmeno lontanamente prodotti campani).
* Viene annullato il concetto pizza come cibo economico (in Italia precisamente nel '700 era considerato il cibo dei poveri perché costava poco ed era, appunto, indigesto, per cui mangiandolo non si soffriva più la fame per alcuni giorni!).
E se trent'anni fa si sviluppò il servizio pizzeria nei ristoranti per salvare dalla crisi i locali pubblici, ora saranno gli spaghetti a salvare la pizza? Perché dobbiamo tenere presente anche quali sono i segnali attuali del mercato: la pizza costa troppo, per il piatto che è.
L'APES, Associazione Pizzaioli e Similari, i cui associati si riferiscono al settore ristorante pizzeria, fa presente nello specifico:
1.Il raggiungimento di qualifica STG Pizza Napoletana, sul mercato, innanzitutto italiano porterà in secondo piano le pizzerie che non producono con il forno a legna.
2.il marchio verrebbe richiesto e pagato, gestito da un consorzio, ma stante l'atteggiamento "all´italiana", impossibile valutare il controllo operato dal consorzio stesso, e si teme che la STG venga data anche a chi userà la mozzarella di bufala bergamasca.
3.non è ammissibile considerare la professione pizzaiolo napoletano superiore a quella di un pizzaiolo professionista piemontese o veneto o pugliese, che operano secondo le migliore regole igienico-sanitarie in vigore, e che ben conoscono e applicano le regole dell´impasto secondo i dettami chimico-fisici riconosciuti.
4.non si ha conoscenza di quali accertamenti e da chi li riceveranno le aziende che vi volessero aderire. Una maggior trasparenza sarebbe comunque auspicabile.
5.sicuramente questo significherà un ulteriore innalzo dei costi della pizza (materie prime e spese generali) e di questo il settore non ne sente proprio la necessità.
6.per motivi tecnici e mancanza di permessi condominiali la pizzeria che potrebbe avere tutti i requisiti ma che non può disporre di un forno a legna dovrà rinunciare a fare la pizza napoletana.
7.pizza napoletana nei menù ormai è una rietta specifica: ci chiediamo cosa accadrà di questa.
8.secondo il disciplinare della Verace Pizza Napoletana la ricetta marinara e pizza napoletana erano la stessa cosa: non si comprende questa altra anomalia.
9.nella stesura del primo Disciplinare napoletano appariva anche il "calzone", scomparso successivamente perché troppo varia la sua farcitura, così come lo è oggi per la farcitura della pizza.
10.esistono pizzerie e ristoranti che operano con forni a gas o elettrici ma che accampano insegne tipo "Bella Napoli", "Il sole di Napoli", "Piccola Napoli", non sappiamo cosa accadrà di queste, magari potranno continuare a fare la pizza ma "alla napoletana"? E allora molto volentieri riporto quanto scrisse nel 1858 Emanuele Rocco nel suo "Usi e costumi di Napoli e contorni": "Prendete un pezzo di pasta, allargatelo e distendetelo col matterello o percuotetelo con le mani, metteteci sopra quello che vi viene in testa, conditelo con olio o strutto, cuocetelo al forno e saprete cosa è una Pizza".
E qui riprendo l'inizio: la pizza è sì italiana ma soprattutto è del mondo e nel mondo, e in America il 4 giugno è la festa nazionale dedicata alla pizza.
domenica 18 maggio 2008

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