Ma tu vulive 'a pizza?
Ma tu vulive 'a pizza?
Napoli (NA) - 09/07
Intervista ad Antonio Pace, presidente dell'associazione "Verace pizza napoletana"

Il primo pensiero al mio arrivo a Napoli è stato "voglio imparare il più possibile sulla pizza". Mi sono informato in giro (qui la comunicazione anche con sconosciuti è semplificata al massimo) e ho visto che le informazioni convergevano tutte su un nome: Antonio Pace, discendente da una famiglia di pizzaioli dal 1850. Anzi le famiglie sono due, la paterna e la materna. Come dire che nelle sue vene scorrono quattro quarti di sangue pizzaiolo. In più, è presidente dell'associazione "verace pizza napoletana" che si è impegnata per l'ottenimento del marchio europeo di qualità STG per la pizza napoletana.
Non so se sapete che il marchio STG, acronimo di Specialità Tradizionale Garantita, è diverso dai marchi DOP e IGT perché non prevede un legame fisico tra la specialità e il suo territorio di origine. Il prodotto garantito può perciò essere realizzato ovunque purché segua le regole codificate dalla tradizione. Anche se è servita in una pizzeria di Salonicco, una pizza proposta con il nome di "pizza napoletana margherita STG" deve essere fatta con gli ingredienti, le dosi e le procedure indicate da un disciplinare codificato a Napoli. In poche parole deve essere fatta come Dio comanda e la tradizione napoletana pure.
Ho incontrato Antonio Pace nel suo ristorante-pizzeria Ciro a Santa Brigida e l'ho trovato felice per questo riconoscimento. Il marchio garantirà la pizza "verace" in tutta Europa, ma i napoletani non potranno più dire che la vera pizza la fanno solo a Napoli. "Non importa", mi ha tranquillizzato Antonio "Non siamo gelosi della nostra pizza. Quella ormai è un patrimonio di tutto il mondo. Ci arrabbiamo quando si spaccia per pizza ciò che pizza non è. Purtroppo negli anni questo prodotto si è svilito e ognuno ha inventato la sua versione senza avere l'umiltà di venire qui a Napoli, assaggiare la vera pizza, vedere come si fa e copiarcela". "E com'è la vera pizza?" "Per noi è anzitutto un disco di pasta, che dopo viene condito e prende un nome diverso a seconda del condimento prevalente. Per altri, invece, è tutto quello che ci mettono sopra. Il disco di pasta, che è la cosa più importante, è messo in secondo piano e ridotto a supporto di un'accozzaglia di ingredienti assemblati 'a fantasia' e senza un vero studio gastronomico. Anche qui a Napoli ci sono sempre stati diversi tipi di pizza, ma sempre nel rispetto della semplicità. Nella pizza con le alici l'elemento aggiuntivo sono le alici e basta. In quella con i funghi sono i funghi. La pizza con i cecinielli, che è la minutaglia di pesce, si è sempre fatta con cecinielli e pecorino, bianca o con un'idea di pomodoro a richiesta del cliente. Perché la pizza è anche un vestito su misura. Più pomodoro, meno pomodoro, più mozzarella, meno mozzarella... a secondo del gusto di chi la mangerà, ma sempre giocando solo sulla quantità degli ingredienti canonici e dell'elemento aggiuntivo. Da qui a fare le pizze con le patatine fritte sopra ce ne corre. La verità è che oggi l'elemento aggiuntivo è l'assortimento di un supermercato, e non uno di quei quattro-cinque prodotti sfiziosi scelti con criterio e consacrati dalla tradizione. Io dico: se vogliono dare sfogo libero alla fantasia facciano pure, ma devono anche capire che creare qualcosa di nuovo non significa assemblare delle cose. Per fare un buon piatto ci vuole un buon cuoco, ma per inventare un nuovo piatto ci vuole un genio. E la pizza è un grande piatto cucinato. Quindi bisognerebbe stare attenti prima di proporre nuove pizze all'aragosta. I pizzaioli con l'ambizione di inventare dovrebbero prima studiare seriamente la cucina e poi se sono geni inventare".
L'avrei baciato in fronte!
Che la pizza sia un grande piatto con la stessa dignità gastronomica degli altri piatti, Antonio ci crede proprio. Nel suo Ristorante di ottimo livello serve anche le pizze, ma non in una sala a parte con apparecchiatura più informale e un servizio meno curato. Da lui, chi chiede la pizza e alla fine della cena pagherà un conto di pochi euro è trattato come chi sceglie i piatti più costosi del menu. Insomma il cameriere non ti chiede appena entri "Ristorante o pizzeria?" e non ti tratta come un cliente di seconda scelta nel caso quella sera avessi voglia di una pizza.
Anche l'antico ristorante Umberto, che si fregia del titolo di "Locale Storico d'Italia", riserva alla pizza un trattamento di pari dignità con i piatti del menu. Anzi dei menu, al plurale, perché sono più di uno. C'è il tradizionale di cucina napoletana classica con gli spaghetti alle vongole, gli spaghetti con la colatura di alici di Cetara, l'insalata di mare, la frittura all'italiana, la parmigiana di melanzane, zuppa di lenticchie e castagne. Poi c'è un menu per celiaci e uno per vegetariani e vegani. E c'è perfino un menu storico che ripropone i piatti del settecento napoletano ovviamente rivisitati e adattati al gusto attuale.
Quanto alle pizze, qui si può assaggiare la "Mastunicola" antenata della pizza attuale e ancora in bianco, condita con lardo, formaggio e basilico, perché precedente alla pomodorizzazione della cucina mediterranea. E poi ci sono le pizze di oggi, quelle vere: la margherita, la marinara, il calzone e la quattro stagioni con gli ingredienti divisi tra loro da due cordoncini di pasta disposti a croce. Così si faceva quando un'unica pizza per motivi di austerity era divisa fra quattro persone con gusti diversi di una stessa famiglia e così si continua a fare nelle pizzerie serie.
I segreti più segreti della pizza verace
La pizza nasce come cibo da strada e andrebbe mangiata con le mani piegata a libretto. La si potrebbe definire un "finger food", come le patatine fritte. Per alcuni la pizzeria "Di Michele" è la più antica pizzeria di Napoli, a me risulta sia quella di Port'Alba. Ma è senz'altro vero che da Michele sono puristi fino all'integralismo, al punto da servire solo due qualità di pizza: la Margherita e la Marinara. Dovete sapere che parlando con Antonio Pace non ho potuto fare a meno di pensare al forno a legna di casa mia e alle pizze che provo a infornarci ogni tanto e che non sono neppure paragonabili a quelle che sto mangiando qui. Perciò ho deciso di marcare stretto il super-pizzaiolo con uno dei miei interrogatori, avevo l'occasione d'oro per imparare a fare una pizza a regola d'arte.
"Come si fa una pizza napoletana meritevole di questo nome?". Gli ho chiesto. Lui mi ha dimostrato che quando mi diceva di non essere geloso delle sue ricette era sincero fino in fondo:
"Si usa farina doppio zero rinforzata con farina di grano duro in proporzione variabile a secondo della temperatura esterna. Di solito se ne aggiunge dal 10 al 15 per cento, ma se fa molto caldo si può arrivare anche al 20. Comunque, oggi esistono in commercio ottime farine già miscelate a monte. Sono quelle che portano in etichetta la dicitura 'farina per pizza'. Oltre l'acqua e il sale preferibilmente marino, si unisce una piccola quantità di lievito, di birra o naturale per chi ha la possibilità di utilizzarlo. La quantità è davvero minima, circa il 2-3 per mille, giusto quanto basta a scatenare la lievitazione. S'impasta a lungo fino al cosiddetto 'punto di pasta' che dipende dall'occhio del pizzaiolo. Questo è un passaggio importante: se si lavora poco, l'impasto è una schifezza se si lavora troppo diventa troppo elastico. Lo si fa lievitare per un paio d'ore e poi si divide in panetti che si lasciano lievitare nuovamente per 5-6 ore. Quindi la lievitazione ottimale, a una temperatura di 24-25 gradi, deve essere di almeno 8 ore complessive. Se sono 10 è ancora meglio".
"Come si condisce il disco di pasta lievitato?".
"I condimenti devono essere usati sempre con la logica che non devono prevaricare il sapore della pasta. Di pomodoro fresco o conservato se ne usano 50-60 grammi. Va schiacciato in modo grossolano, non passato e ridotto a un purè. Pensi che anticamente vendevano le scatole di sole bucce di pomodoro che venivano aggiunte ai pelati per dare l'illusione del pomodoro fresco in inverno.
La mozzarella può essere di bufala o fiordilatte. La quantità è di 70-80 grammi. Non va fatta a dadini né tantomeno tritata ma tagliata a fette alte intorno ai 3 millimetri, meglio mettere 5 fette come si faceva una volta. Infine si irrora con un filo d'olio, 4-5 grammi non di più, e sempre prima di infornarla. Chi afferma che l'olio va messo dopo perché si brucerebbe dice una fesseria, perché in quel minuto che la pizza rimane dentro al forno raggiunge gli 80 gradi e a questa temperatura è tutt'altro che bruciato. Anzi, esalta il sapore di tutti gli altri ingredienti. Una cosa è cuocere un piatto con l'olio e una cosa è cuocerlo senza. O no?"
"Certo. E il basilico?"
"Anche quello va messo sulla pizza prima di infornarla. Ma lo fanno in pochi perché le foglie appassite sono meno scenografiche delle foglie fresche. Quello della scenografia è lo stesso discorso delle cozze con il guscio. Si può fare la pizza con le cozze, ma devono essere sgusciate".
"E arriviamo alla cottura..."
"La pizza si cuoce in un forno a legna tra i 450 e i 480 gradi per non più di 60 secondi, perché l'impasto deve restare morbido. Dopo il primo impatto, la si fa ruotare perché ogni parte va esposta alla fiamma. Alla fine o la si passa vicino alla fiamma per la coloritura o la si alza verso il tetto del forno dove la temperatura è più alta per dorarla. I vecchi pizzaioli prima di sfornarla la appoggiavano un attimo sulla bocca del forno per asciugarla".
"Deve essere alta o bassa? Che dimensioni deve avere?"
"La pizza napoletana è sottile al centro con un cornicione alto e morbido. E il centro, anche se sottile, deve restare morbido, non diventare mai croccante. Quanto alle dimensioni, anticamente la pizza si faceva quanto un piatto normale, cioè di 24 centimetri di diametro. Poi ce n'era un'altra grande, per tutta la famiglia, chiamata 'a ruota di carretto'. Il diametro era di 40 centimetri e c'era una pala apposta per infornarla che si chiamava capotesto. All'opposto c'erano pizze piccole come il fondo del piatto. Si chiamavano 'roselline' ed erano apprezzate dalle donne e adatte ai bambini. Ora abbiamo assorbito la moda americana e facciamo pizze di quasi 30 centimetri. Ma io sono contrario a questa dilatazione perché credo che sia una quantità superiore alla logica di degustazione di qualsiasi prodotto. La cosa importante, comunque, è il rapporto tra la il peso del panetto e il diametro della pizza. Oggi che la pizza è intorno ai 27-28 centimetri di diametro, va fatta con un panetto di 220-240 grammi. Ma il pizzaiolo deve essere bravo, altrimenti la rompe".
"Facciamo una rassegna veloce delle pizze?:
"La Margherita si condisce con pomodoro fresco, o pomodorini del Vesuvio, o pelati conservati, fiordilatte o mozzarella di bufala, olio extravergine di oliva e basilico. Anticamente si cospargeva anche con 3-4 grammi di formaggio grattugiato, o pecorino o Parmigiano o Grana Padano. Ora non usa più ma io rimango fedele a questa tradizione. La Marinara si condisce con pomodoro fresco o pelato, sempre schiacciato e mai tagliato a filetti che sulla marinara non danno godimento, poi ci va uno spicchio di aglio tagliato a fettine, origano e olio. La Quattro Stagioni è sempre stata affidata alla fantasia del pizzaiolo. Non si sbaglia se gli elementi aggiuntivi sono funghi, gamberi, olive nere e mozzarella sempre divisi fra di loro da due cordoncini di pasta a croce. E infine c'è il calzone ripieno, con ricotta vaccina, mozzarella e salame napoletano tagliato a pezzetti".
Dopo questa ineccepibile spiegazione, mi sono ripromesso di rinunciare alla pizza fatta in casa. In fondo l'Italia è piena di pizzerie, basta trovare quella giusta. E poi, anche se ho deciso di rinunciare a farmela da solo, ora ho tutti gli elementi per controllare l'abilità del pizzaiolo. Se non vi siete annoiati a leggere questa lettera, li avete anche voi!
Breve storia della pizza e della pizzeria
La pizza non è sempre stata così come la conosciamo. La prima notizia sicura dell'uso del pomodoro è del 1733, ma fu usato regolarmente solo dopo la metà del 1800. La pizza era nata due secoli prima come un disco di pasta cotto in forni a legna e condito con aglio, strutto, sale grosso e basilico, a volte era arricchita con formaggio. All'inizio era una preparazione casalinga, solo nel settecento cominciò a essere prodotta in laboratori spesso annessi alle abitazioni e venduta poi in banchetti davanti alla porta o per strada da ambulanti che portavano in equilibrio sulla testa le "stufe" di rame con dentro le pizze tenute in caldo. In realtà si trattava di friggitorie che vendevano soprattutto crocchette di patate, arancini di riso e "aria fritta", palline di pasta molto lievitata. La pizza non era il prodotto principale e solo verso la metà del secolo cominciarono a comparire nei laboratori i primi tavolini di marmo per la consumazione della pizza in loco. Nascevano così le pizzerie modernamente intese. Secondo alcuni documenti la prima aprì i battenti nel 1780 e si chiamava "Da Pietro e basta così". Secondo altri bisogna aspettare il 1830 quando aprì la pizzeria di Port'Alba. Fino al 1950 le pizzerie erano solo a Napoli ed era difficile trovarne anche in Campania. Poi, con il boom economico fu diffusa nel triangolo industriale di Milano, Torino e Genova dagli emigranti napoletani. Ma nel frattempo i campani emigrati negli Stati Uniti - quasi un milione tra il 1901 e il 1915 - l'avevano portata oltre Oceano e già negli anni '50 Dean Martin celebrava la nuova star internazionale cantando "When the moon hits your eye/Just like a big pizza-pie that's amore", (Quando la luna colpisce i tuoi occhi, come se fosse una grande pizza, questo è amore).
La nascita della Pizza Margherita
Nel 1889 il re Umberto I e la regina Margherita vennero in visita a Napoli. In quell'occasione il pizzaiolo Raffaele Esposito detto "Naso 'e cane" della pizzeria "Pietro e basta così" preparò per i sovrani tre tipi di pizza: l'antica "mastunicola", senza pomodoro, la marinara con pomodoro, aglio, acciughe e olio d´oliva e una pizza al pomodoro, mozzarella e basilico che citava i colori della bandiera italiana. La regina preferì quest'ultima e fece ringraziare il pizzaiolo con questo documento ufficiale ancora conservato nella pizzeria Brandi: "Casa di Sua Maestà - Ispezione Ufficio di Bocca - Capodimonte, 11 giugno 1889. Pregiatissimo Signor Raffaele Esposito, Napoli. Le confermo che le tre qualità di pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime. Mi creda, di Lei devotissimo Galli Camillo, Capo dei Servizi di Tavola della Reale Casa". Il Pizzaiolo Raffaele Esposito ricambiò l'attenzione ribattezzando "Margherita" la sua pizza alla mozzarella.

Tutti gli indirizzi
Pizzeria Brandi
Salita S. Anna di Palazzo, 2
80132 Napoli
Tel. 081 416928

L'Antica Pizzeria Michele è purista fino all'integralismo. Serve solo due qualità di pizza: la Margherita e la Marinara. È arredata in modo spartano con tavoli collettivi di marmo in linea con la frugalità del menu. Le pizze sono una favola!
Antica Pizzeria Michele
Via Cesare Sersale, 1
80139 Napoli
Tel. 081 5539204

Un'altra pizzeria molto amata dai napoletani è la Di Matteo in via dei Tribunali. È qui che il Presidente Clinton durante il G7 del 1994 mangiò la pizza più famosa di questi ultimi decenni. Lo straordinario evento è documentato da una foto che troneggia nel piccolo locale. Di Matteo, però non si è montato la testa e il suo locale è rimasto fedele all´ambiente genuino e caciarone di via Tribunali.
Pizzeria Di Matteo
Via Tribunali 94
80138 Napoli
Tel. 081 455262

L'indirizzo del locale di Antonio Pace è Ristorante Ciro a Santa Brigida
Via S. Brigida, 71/73/74
80100 Napoli
Tel. 081 552.40.72
Fax 081 552.89.92

Ristorante Umberto
Via Alabardieri 30, 31
80121 Napoli
Tel. 081 418555

Pizzeria Antica Port'Alba
Via Port'Alba 18
80134 Napoli

Articolo inserito da Martino il 17/09/2007 14.26.33
miércoles 10 octubre 2007

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