Antonello Cioffi, proprietario della pizzeria criticata nella lettera di una lettrice, spiega le ragioni di un successo che ha diviso il pubblico di Varesenews e gli estimatori della sua pizza,
Alla fine la curiosità dei lettori è stata soddisfatta dallo stesso titolare. La pizzeria oggetto della critica della lettrice di Varesenews è la Piedigrotta di via Romagnosi, nel cuore della città. Aperta nel 1974 da Gaetano Cioffi, oggi è gestita dal figlio Antonio, più conosciuto come Antonello. È lui stesso a chiedere di uscire allo scoperto perché non vuole «che vengano danneggiati altri colleghi».
Non è una posa quella del titolare della Piedigrotta. Contesta punto su punto le accuse mosse dalla lettrice, ma senza animosità. Vuole mantenere un basso profilo, non vuole farsi fotografare (ma tanto già tutti lo conoscono) e sorride quando gli si dice che è «un pizzaiolo zen». Se non fosse così, difficilmente riuscirebbe ad affrontare con calma assoluta l´assalto incessante dei clienti, mezzogiorno e sera, disposti ad aspettare anche ore pur di gustare una "capuzzella" o una "bufalina special". Le ragioni di questo successo clamoroso le racchiude tutte in una sola parola: «amore».
Cioffi, detta così suona un po´ naif. Riesce a spiegare meglio questo concetto di amore trasfigurato nella pizza?
«Credo che l´armonia, quando si parla di alimentazione, sia fondamentale. La mia pizza piace perché è frutto dell´amore che ci metto e anche dell´atmosfera che si respira qui dentro. Penso che un´energia positiva possa trasformare un piatto. Se sono arrabbiato le mie pizze non riescono. Per ottenere la certificazione di vera pizza napoletana ci ho messo tre anni. Senza amore questi risultati non si ottengono».
Quando si parla di alimentazione però è altrettanto fondamentale la qualità delle materie prime usate.
«Sì, ma ribadisco: senza un´energia positiva non riesce nulla. Io scelgo personalmente gli ingredienti che devono essere il massimo che il mercato offre. Ad esempio, le mozzarelle che arrivano fresche dalla Puglia hanno vinto numerosi premi. Stesso discorso per l'olio. Ma più la materia prima è cara, minore sarà il mio ricarico. Ciò che a me importa è che la gente mangi bene. Il rispetto del cliente è fondamentale. Se uno vuole una pizza alla romana, croccante, questo non è il posto adatto».
La pizza più cara del suo menù?
«Nove euro e 50 centesimi».
Il pizzaiolo era ciò che voleva fare nella vita?
«Ho 37 anni e ho sempre vissuto in questo ambiente, anche se ho studiato ragioneria. Mio padre Gaetano, che oggi non c´è più, era molto più bravo di me. Era un vero chef, un creativo. Ha lavorato a livelli altissimi. Ha fatto la gavetta all'hotel "Caruso" di Ravello, poi allo "Splendid" e al "Sole" di Maiori sulla Costiera Amalfitana. Tra i suoi clienti c´era Jacqueline Kennedy».
Tra le critiche che le vengono fatte c´è la troppa attesa per un tavolo e la pressione fatta sui clienti per lasciare libero il posto non appena finito di mangiare. Qualcuno nei commenti le suggerisce di ampliare il locale.
«Se amplio il locale, ho paura di perdere in qualità, oltre un certo numero non si puo´ mantenere questo livello. Ho in mente di migliorare tutto il servizio. Ad esempio, sto cercando di trovare il tempo per rifare la carta dei vini, ne ho di veramente interessanti non ancora inseriti. Noi siamo come una squadra di calcio e se vinciamo è perché tutto gira al meglio e ognuno interpreta bene il proprio ruolo. Io cerco di gratificare economicamente i miei collaboratori, ma mi rendo conto che non basta, occorre fare più formazione».
Qual è la pizza che preferisce?
«La Don Antonio: zucchine, pinoli, finocchietto, provola affumicata. C´è stata una ricerca profonda e ci abbiamo messo un po´ a metterla in tavola. Non stanca mai».
Lei usa anche l´oro alimentare, non è un po´ troppo per una pizza?
«No, penso che bontà e bellezza debbano andare di pari passo. Se una cosa è bella ed è anche buona è il massimo».
Durante la serata "incriminata" ci avete messo l'amore di sempre?
«Nessuno è perfetto. A volte ci puo essere confusione, ma le mie pizze erano le stesse. Quando sono arrivato al tavolo mi hanno anche applaudito. Comunque, non porto rancore».
12/10/2010
michele mancino
michele.mancino@varesenews.it
Sunday 17 October 2010