La vera pizza di Napoli? Con le regole della Ue
Margherita o marinara? Fermiamoci qui, al binomio classico. Non ci hanno mai convinto le estrosità esotiche, tipo gli indigesti peperoni che prima o poi spuntano sempre dai cartoni consumati sulle scrivanie o nelle cucine dei film americani. Basta scippi, la pizza è Cosa Nostra. Finalmente ce lo conferma anche l´alta burocrazia culinaria di Bruxelles, che ieri ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Ue il disciplinare europeo contro le imitazioni. Vale a dire la ricetta della vera pizza napoletana Stg, cioè specialità tradizionale garantita. Il riconoscimento definitivo arriverà tra sei mesi, ma la carta d´identità è già scritta, articolo per articolo. Segni particolari? Tanti, pure troppi. A partire dall´aspetto, quello di un «prodotto da forno tondeggiante, con diametro non superiore ai 35 cm, bordo rialzato (signori, si chiama cornicione) e parte centrale coperta da farcitura spessa 0,4 cm». Già sullo spessore potrebbero aprirsi epiche contese, ma non è il momento. Certo fa impressione leggere in un documento ufficiale dettagliate e succulente descrizioni del cornicione dorato, soffice e ben cresciuto, del divieto di usare il matterello per stendere il panetto che il pizzaiolo «deve invece rivoltare varie volte per ottenere il disco di pasta». Un inno alle acrobazie dei nostri eroi armati solo di oliera a becco. Ma la pizza merita questo e altro. Basti dire che siamo arrivati alla meta quattordici anni dopo la richiesta di tutela avviata dalle due associazioni «Verace Pizza», presieduta da Antonio Pace e «Pizzaioli napoletani» guidati da Sergio Miccù. Un po´ per i dissidi interni tra le fazioni pizzesche, molto di più per le minuzie bizantine degli euroburocrati, che dal 2004 hanno consultato l´ultimo referente, Rosario Lopa, presidente del Comitato per la Tutela e la Valorizzazione della pizza napoletana, su questioni risibili del tipo: esiste la pizza al ragù? Senza dimenticarsi della campagna oscurantista e antibatterica contro il lardo di Colonnata, i formaggi d´alpeggio e i forni a legna, «rei» di non rispondere alle norme igieniche previste nei regolamenti europei. Ma, come si dice, scurdammoce ´o passato. Oggi la pizza è a denominazione d´origine e possiamo perdonare anche chi ha sbagliato. Materie prime sono la farina di grano tenero tipo 00, il lievito di birra, l´acqua naturale, i pomodori pelati o i pomodorini, il sale, l´olio d´oliva extravergine. L´impasto riposa due ore, poi seconda lievitazione da 4 a 6 ore a temperatura ambiente. Con minuzie degne di un ricettario ottocentesco, il disciplinare mescola allegramente i linguaggi, per non lasciare spazio ai falsari. Cottura, farcitura, conservazione, aglio, olio e foglie di basilico. Il ministro delle Politiche Agricole Paolo De Castro è particolarmente soddisfatto per aver consolidato le radici italianissime di questo nostro simbolo gastronomico, e dice di aspettare con ansia il prossimo logo della Vera Pizza, che chi vorrà potrà esporre, ma «solo dopo aver superato un severo controllo». E qui cominciano i guai, perchè sarà davvero difficile misurare diametro e spessore e temperatura del forno. Finora solo la mozzarella è riuscita a ottenere il riconoscimento europeo, ma portarsi a casa il marchio Stg dell´alimento principe della dieta mediterranea è una vittoria ben più significativa, vista la macdonaldizzazione spietata di questo alimento prodotto in serie dalle grandi catene internazionali. Neanche il tempo di godersi la quasi vittoria finale e già le due associazioni partenopee della pizza guardano oltre, cioè al disciplinare per i pizzaioli, divisi in due categorie come i parcheggiatori: legali e abusivi. «Sia chiaro, non vogliamo che la pizza si faccia solo a Napoli - dice Antonio Pace - Vogliamo che venga fatta in tutto il mondo, ma seguendo le regole».

Santa Di Salvo
Il Mattino Edizione Nazionale del 15 febbraio 2008
venerdì 15 febbraio 2008

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